Dal 24 al 27 marzo prossimo si terrà a Torino il 15° congresso nazionale dell’Anpi. Una scadenza importante per l’antifascismo e per tutta la sinistra. A oggi sono ancora in corso molti congressi di sezione, mentre tra febbraio e i primi di marzo si svolgeranno le principali assise provinciali. Un lungo percorso iniziato lo scorso settembre con il varo da parte del Comitato nazionale del documento politico-programmatico.
L’Anpi sta vivendo, in questi ultimi anni, una stagione nuova, dopo la decisione nel 2006 al congresso di Chianciano di consentire il tesseramento a pieno titolo e l’ingresso nei gruppi dirigenti degli antifascisti delle generazioni successive alla Lotta di Liberazione. L’associazione si è irrobustita ed è fortemente cresciuta in termini di iscrizioni e di copertura territoriale, garantendo ormai la propria presenza in tutte le province italiane, mezzogiorno compreso. La crisi dei partiti ha anche avuto come conseguenza che l’Associazione dei partigiani italiani venisse sempre più individuata come uno dei luoghi possibili dell’impegno politico e civile. L’obbiettivo di superare i 150 mila iscritti nel 2011 non è in questo senso per nulla velleitario.
Questo congresso rappresenterà un momento di forte discontinuità con il passato, segnando, in primo luogo, il passaggio definitivo verso un nuovo gruppo dirigente che per la prima volta dal dopoguerra non sarà più composto in prevalenza da ex partigiani combattenti. Così nelle federazioni provinciali. Un evento storico. Sarà anche il primo congresso, dopo tanti anni, di dibattito vero, per nulla scontato, con emendamenti, mozioni e ordini del giorno non rituali. Non potrebbe essere diversamente dato il quadro radicalmente mutato dal congresso precedente. Eravamo nel febbraio del 2006, quando il centro-sinistra si apprestava a vincere le elezioni, la sinistra comunista si disponeva ad entrare a pieno titolo nella coalizione governativa e i Ds non si erano ancora fusi con la Margherita, trasformandosi nel Pd. Da allora troppe cose sono cambiate. Inevitabile, dunque, un confronto a tutto campo.
Il documento programmatico, da questo punto di vista, presenta diverse luci ma anche alcune ombre che speriamo possano presto dissiparsi nel dibattito congressuale. La proposta politica di fondo, ovvero la necessità di «un’intesa fra tutte le forze democratiche» al fine di fronteggiare l’emergenza democratica, è pienamente condivisibile ed è centrale rispetto a un giudizio positivo riguardo al documento stesso. Così l’analisi del momento italiano, con l’allarme per lo «svilimento del lavoro sempre più privato dei diritti», per la “questione morale”, per la deriva dell’istituzione scolastica, sempre più «fabbrica del precariato», per gli attacchi alla magistratura e alla libera informazione, «volto a dar luogo a un potere governativo autoritario». Da qui la difesa dei principi contenuti nella Carta Costituzionale, a partire dalla valorizzazione della funzione del Sindacato, del «lavoro come fondamento della Repubblica», fino al «ripudio della guerra», ma anche l’individuazione della necessità urgente di una riforma elettorale.
Mancano a completare questo quadro, per certi aspetti inspiegabilmente, ogni riferimento agli attacchi di taglio revisionista condotti in questi anni, con sistematiche campagne mediatiche, di denigrazione della Resistenza, ma soprattutto un esame più puntuale della natura delle destre italiane, prive con ogni evidenza, nella loro gran parte, di una reale cultura democratica e antifascista, ben diverse dalle destre conservatrici di stampo europeo. Prova ne sono gli accordi elettorali e politici stretti con formazioni dichiaratamente neofasciste o la riabilitazione, anche con l’intestazione di piazze o vie, a caduti repubblichini parificati a quelli partigiani. Scelte attuate prima da Forza Italia e Alleanza nazionale, ora dal Pdl con l’apporto sempre decisivo della Lega nord. La scissione di Fini dal Pdl non ha mutato questa realtà. Per certi versi l’ha invece confermata, evidenziando come la trasformazione dell’Msi in Alleanza nazionale sia sostanzialmente fallita e con essa i tentativi di evoluzione “democratica” delle destre italiane o quantomeno della loro parte più rilevante.
Così dicasi, sempre nel documento, per quel che riguarda la situazione assai grave dello sviluppo delle organizzazioni neofasciste in Italia, un tema neanche menzionato, con il sempre più grave aumento delle aggressioni ai danni dei giovani di sinistra, delle loro sedi, ma anche nei confronti di immigrati e omosessuali.
Ma ciò che maggiormente suscita perplessità è una sorta di chiusura nei confronti delle nuove realtà giovanili, dai centri sociali alle reti antifasciste. Quasi un’incomprensione a cogliere come in questi anni, a fronte della deriva a destra del Paese e delle sue precipitazioni razziste e xenofobe, sia cresciuta una nuova leva di antifascisti, quasi sempre fuori dall’Anpi. Forse non a caso. Una realtà su cui riflettere, con cui cercare un dialogo, evitando ogni demonizzazione. Da qui passerà anche la stessa capacità dell’associazione di aprirsi in concreto alle nuove generazioni e rinnovarsi. Decisamente fuori luogo in questo senso nel documento il riferimento alla “violenza” unicamente per stigmatizzare alcune isolate contestazioni a Milano e Roma in occasioni dell’ultimo 25 aprile. Contestazioni assai criticabili e discutibili, riconducibili comunque alla scelta di celebrare la Resistenza con figure istituzionali spesso impresentabili. Un tema serio che andrebbe affrontato senza manifestare insofferenze, che attiene al rapporto non solo con le nuove generazioni ma anche con chi nella società civile si batte da anni contro il degrado istituzionale, come il movimento antimafia di Palermo che ultimamente, nelle celebrazioni in onore di Falcone e Borsellino, ha rifiutato la presenza della seconda carica dello Stato. Le istituzioni sono anche chi le rappresenta e chi le rappresenta è spesso anche chi al tempo stesso vorrebbe cancellare la Costituzione, la memoria della Lotta di Liberazione, si allea con i fascisti e li sostiene. Chiedere all’Anpi un comportamento meno acritico e supino, meno piattamente istituzionale, significa, contrariamente a quanto si pensa, credere davvero nel progetto di rinnovamento democratico delle istituzioni, con una battaglia dal basso, anche attraverso la critica ai suoi, spesso, indecorosi rappresentanti. Recentemente a Milano, al campo dei caduti partigiani, come in alcune celebrazioni della Resistenza, si è dovuto assistere agli interventi di esponenti istituzionali che solo poche settimane prima aveva finanziato iniziative neofasciste o erano state dalla magistratura intercettate per i loro rapporti con la criminalità organizzata. Un insulto.
Fare dell’Associazione nazionale dei partigiani italiani la «casa di tutti gli antifascisti», come sostiene il documento programmatico, non è certo facile né agevole, ma necessariamente vuol dire aprirsi al confronto anche aspro, su tutti i temi, ma soprattutto al rapporto con i giovani, con pazienza, per unire, senza autosufficienze, tanto meno di tipo generazionale. Una frattura su questo terreno, renderebbe difficile ogni cammino.
Articolo di Saverio Ferrari su Liberazione del 12-02-2011
ANPI Val Calepio - Val Cavallina
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