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Ci sono ancora i fascisti? Una domanda “retorica“ alla quale bisogna rispondere con forza e con azioni complesse e risolute, per realizzare un’efficacia reale e concreta dell’antifascismo

Di Carlo Smuraglia, Presidente Nazionale A.N.P.I.

Capita spesso di leggere su qualche organo di stampa o di sentire in qualche discorso che l’antifascismo non ha più ragion d’essere, perché i fascisti non ci sono più.
Affermazioni sorprendenti e non del tutto disinteressate, che sembrano provenire da abitanti della luna.
Infatti, se – in questi tempi tumultuosi – il fascismo (quello con la camicia nera)
può apparire lontano nel tempo e perfino superato, la verità è ben altra e
certamente più complessa.
Non solo il fascismo non è morto, se non altro perché bisognerebbe averci fatto
i conti fino in fondo, per poterlo dichiarare estinto (e in Italia siamo ancora
molto lontani da questo obiettivo) ma anche perché di fascisti nell’anima, nel
pensiero e nell’azione ce ne sono non pochi; e poi ci sono i nazifascisti, i fascisti
“del terzo millennio”, i fascisti che non si dichiarano tali, ma in realtà lo sono
anche se camuffati da associazioni culturali e sociali. Il fascismo, infatti, non lo
si può collocare solo in uno specifico contesto storico, ma è quello che – sotto il
profilo dell’autoritarismo, della negazione della libertà, del razzismo – si profila
in mille forme, ma alla fine, è pur sempre, e agevolmente, riconoscibile.
Si potrebbe dire che il fascismo, come fenomeno teorico e pratico, è tutto il
contrario dell’intera Costituzione italiana, un modo di pensare e di essere che
non corrisponde in alcun modo ai valori di fondo della nostra democrazia e della
nostra Carta fondamentale. Quindi, l’allarme e la vigilanza devono essere molto
forti, tra coloro che amano la democrazia, perché si tratta di un pericolo sempre
in agguato e sempre concreto, anche per l’aiuto che riceve, in termini morali,
proprio da coloro che ne sostengono, ormai, l’inesistenza.
Un grande storico ammoniva, tempo fa, che la storia raramente si ripete nelle
stesse forme, ma guai a non “conoscerla” fino in fondo, perché i fatti possono
presentarsi in forme apparentemente diverse e ingannevoli e dunque
bisognerebbe essere sempre pronti a prevenire e reagire. Insomma, in linea di
principio, bisogna diffidare di chi sostiene che ci sono ben altri problemi, nel
mondo, al di fuori e al di là del fascismo. Nel senso cui ho accennato più sopra,
di fascismo – anche facilmente identificabile – ce n’è più che abbastanza in
Italia, in Europa e nel mondo. Bisogna conoscerlo e capirlo fondo in fondo,
anche e soprattutto per vaccinarsi e creare gli antidoti.
Poi, c’è anche il fascismo praticamente dichiarato, perché non esita, comunque
si denomini, a comportarsi come tale, utilizzando spesso simboli, insegne e
atteggiamenti tipicamente riconducibili al fenomeno italiano del tragico
ventennio.
Lo sa bene Milano che – a dispetto della sua Medaglia d’oro per la Resistenza –
è terreno privilegiato per scorribande nazi-fasciste, a cui le Istituzioni
contrappongono una resistenza molto modesta e talora inesistente. Milano, in
cui non basta più neppure la presa di posizione del Sindaco, per indurre i
responsabili dell’ordine pubblico a vietare una manifestazione fascista. Milano,
in cui si è svolta, proprio nei giorni scorsi, una manifestazione di “Forza Nuova”,
collocata, addirittura, per una improvvida decisione del Questore, in un luogo
monumentale della città (Arco della Pace) ad elevata visibilità.
Lo sanno bene tante altre città (un solo esempio: Roma, dove è stata distrutta
“da ignoti” una targa in memoria di Giacomo Matteotti, ucciso dai fascisti!),
tanti altri luoghi, in cui le esibizioni di simboli fascisti, i richiami al “Camerata,
presente” sono pressoché giornalieri. Con alcuni Magistrati che non ci trovano
nulla di male, in queste esibizioni, a dispetto di diverse sentenze della stessa
Corte di Cassazione, secondo le quali basta il saluto romano per costituire
almeno uno dei reati previsti dalle leggi Scelba e Mancino.
Ma non basta. Ci sono luoghi in cui operano gruppi, più o meno consistenti, che
oltraggiano i sacrari della Resistenza, provocano continuamente, con atti, gesti
e iniziative di netto stampo nazi-fascista. Recentemente, uno di questi gruppi
(DO.RA, nel varesotto) è arrivato a proporre una “petizione per lo scioglimento
dell’ANPI e processare per crimini di guerra i partigiani ancora in vita” (v. il
significativo e dettagliato articolo di Paolo Berizzi, su Repubblica.it, del 12
gennaio “Varese: viaggio tra saluti nazisti e croci runiche nella comunità che
nega l’olocausto”).
Una provocazione certo, che sfiora il ridicolo, a prima vista; se però ci
riflettiamo, non giustifica in alcun modo il distacco, il disinteresse delle
Istituzioni: su quella “comunità” (Dodici Raggi) ci sono state denunce
all’Autorità giudiziaria, c’è un’interrogazione dei parlamentari Fiano, Marantelli e
Cimbro (senza risposta, almeno per ora), ci sono prese di posizione e iniziative
reiterate dell’ANPI di Varese. Nel silenzio delle Istituzioni, ci stiamo
organizzando, assieme all’ANED e ad altre Associazioni democratiche e
antifasciste, per realizzare alcune azioni che rendano chiaro che c’è poco da
sorridere, semmai c’è da intervenire perché le “provocazioni” non continuino e
si manifestino in maniera sempre più baldanzosa.
Infine, ancora due esempi di persistenza e serietà del fenomeno: ci sono città in
cui liste fasciste hanno partecipato alle elezioni ed ottenuto rappresentanti nei
Consigli comunali. C’è, inoltre, la reiterazione degli attacchi all’ANPI, considerata
come il peggior nemico. Non solo si è sostenuta la proposta di scioglimento di
cui si detto, ma nello stesso tempo, dal palco di Piazza Sempione, dove ha
parlato un personaggio ben noto (Fiore) si è levata la richiesta di togliere
all’ANPI i mezzi di “sostentamento “, cioè i contributi statali (peraltro assai
modesti). Anche questo è significativo, per dimostrare quanto sia errata la tesi
di un fascismo superato e comunque ridotto a un simulacro di scarso rilievo.
Tutto è finalizzato non solo ad incrementare e rendere evidente la presenza
“fascista”, ma anche ad indebolire e vanificare la forza del contrasto da parte
dei cittadini e delle Associazioni democratiche
C’è una discussione in atto, anche a sinistra, se siano ancora utili le contromanifestazioni
e i presìdi, o non sia preferibile lo scontro diretto, l’occupazione
dei luoghi dove dovrebbero radunarsi e manifestare i fascisti. Sotto quest’ultimo
profilo, abbiamo detto da sempre che lo “scontro diretto” non serve e non
aiuta, non solo perché non si può pensare di farsi giustizia da sé, ma anche e
soprattutto perché i risultati sarebbero, come lo sono stati in alcune occasioni,
negativi, perché i fascisti diventerebbero “vittime”, e un certo numero di
manifestanti finirebbero manganellati dalla Polizia e magari assicurati al carcere.
In più e soprattutto, perché in questo modo non conquisteremmo alla causa un
cittadino, non smuoveremmo gli inerti, non convinceremmo quelli che si
considerano “neutrali” e metterebbero tutti nel mucchio selvaggio, fascisti e
antifascisti.
I presìdi, le contro-manifestazioni sono atti legittimi e necessari, che certamente
servono a non lasciare campo libero ai fascisti e a dimostrare che c’è chi crede
nei valori della Costituzione e non è disposto a riportare l’Italia indietro di quasi
un secolo.
Tuttavia, bisognerà ripensare anche le modalità dei presìdi, per evitare che essi
si risolvano solo nella protesta di alcuni, senza effetti concreti anche per il
futuro. La funzione dei presìdi dovrebbe essere anche quella di coinvolgere i
cittadini, di spiegare cosa è stato il fascismo, di sollecitare una presa di
coscienza che – in molti – è ancora assente. Ed allora, è forse necessario
accompagnarli con iniziative e manifestazioni che non si rinchiudano in una
piazza, che sollecitino ricordi, facciano memoria, illustrino i pericoli cui si va
incontro consentendo il ritorno dei fasci, dei saluti romani e delle simbologie
fasciste e naziste.
Il presidio va ripensato in modo che non sia tanto in “difesa” quanto in attacco,
anche culturale e politico, come dirò più avanti; va, forse, collegato a luoghi e
sedi significativi e accompagnato da altre iniziative; insomma deve essere
finalizzato non solo alla protesta, ma alla conquista di maggiori spazi per
l’antifascismo. E deve essere, il presidio, anche strumento di pressione sulle
Autorità, sulle Istituzioni, perché facciano appieno il loro dovere, secondo i
dettami della Costituzione. E’ utile, da questo punto di vista, anche il
coinvolgimento e il contatto con quei parlamentari locali che hanno preso
posizioni precise e giuste, che hanno presentato disegni di legge che,
purtroppo, non fanno passi avanti, o interrogazioni che attendono da tempo
risposta.
Ma vi sono ancora altri aspetti, fondamentali, da considerare e da affrontare (in
molti casi, l’ANPI lo sta facendo da tempo) con più decisione e maggior
coinvolgimento anche di altre Associazioni democratiche.
Ritengo che, a fianco di quanto detto più sopra, occorra anche una battaglia
decisa e diffusa su un terreno che definirei culturale-politico, senza che
qualcuno si permetta di ironizzare, come è accaduto – talora – nel passato.
Si tratta di una battaglia da portare avanti senza esitazioni e con tutti gli
strumenti possibili, prima di tutto contro l’ignoranza storica, l’indifferenza e la
scarsa sensibilità dei cittadini, ai quali va ricordato (o spiegato, se sono giovani
o comunque ignari) che cosa è stato il fascismo e quali e quante sono le forme
pericolose che esso può assumere nell’era contemporanea.
Questa battaglia va condotta con tutti i mezzi disponibili, con saggezza,
precisione di informazioni, ricchezza di chiarimenti e di notizie. Una battaglia
che deve investire tutti, ma deve rivolgersi soprattutto ai giovani, a quel
grandissimo strumento di formazione alla “formazione“ che deve essere la
scuola.
Un simile impegno risultava chiaro perfino dall’art. 9 della legge Scelba, e che
nessuno, dico nessuno, si è mai degnato di applicare.
Questa azione va potenziata, chiedendo anche agli organi di informazione e di
comunicazione di fare la loro parte, alle Istituzioni di considerarla come un
impegno programmatico, alle Associazioni democratiche di inserirla fra le
priorità.
Poi c’è il secondo aspetto, quello del ruolo delle istituzioni che non dimostrano
di avere l’antifascismo tra le loro priorità, che non riescono a ragionare se non
in termini di ordine pubblico (al più!), che non fanno rispettare ed applicare le
leggi esistenti (esistono, eccome, se la stessa Corte di Cassazione le ha
applicate più volte), che non intervengono con leggi nuove, se quelle esistenti
non appaiono sufficienti, per impedire anche la vendita propagandistica di
gadget fascisti e la possibilità di presentare liste elettorali di netta marca
fascista. Ricordiamoci che lo stesso ruolo “formativo” che abbiamo attribuito alla
scuola, anche sul piano dell’antifascismo e della democrazia, non può essere
lasciato all’iniziativa di insegnanti particolarmente attenti e sensibili, oppure
all’iniziativa dell’ANPI e di altre Associazioni, ma rientra tra i compiti
fondamentali dello Stato. Le formulazioni legislative non bastano se non c’è una
politica scolastica con una direzione precisa: preparare i giovani alla
“cittadinanza attiva”, per la quale occorrono conoscenze storiche precise e
soprattutto consapevolezza e riconoscibilità dei valori fondamentali della nostra
democrazia.
E’ proprio in questa direzione che ci stiamo muovendo da tempo, con un
protocollo d’intesa col MIUR che, peraltro, ha bisogno di essere attuato con
maggiore energia anche da parte degli organismi ministeriali e diventare più
“diffuso”, riuscendo a raggiungere tutte le scuole e non solo alcune
“privilegiate”.
E’ su queste linee più ampie e molteplici che occorre muoversi, allargando il
fronte antifascista, facendo di questo Stato un vero Stato antifascista, come
vuole la Costituzione, pretendendo il rispetto delle leggi già esistenti e il loro
miglioramento e potenziamento, ove occorra.
Insomma, ci vuole un’azione globale, tale da coinvolgere le Associazioni
democratiche, le istituzioni statuali, regionali e comunali, la “cultura”
complessiva dei cittadini per la piena conoscenza e il massimo rispetto per una
Costituzione che è intrinsecamente e profondamente antifascista.
Aggiungo, infine, una considerazione che, in realtà, deve essere, ormai, alla
base di tutto: bisogna rilevare che ogni manifestazione di fascismo è stata
sempre contrassegnata anche da razzismo (basta ricordare la persecuzione
degli ebrei realizzata in Italia non solo con le leggi liberticide del ‘39, ma ancora
durante la vigenza della così detta “Repubblica di Salò”), e convincerci che oggi
più che mai, fascismo e razzismo procedono di pari passo, con un legame
spesso intrinseco, a volte perfino inconsapevole da parte di qualcuno, ma
sempre esistente nei fatti.
L’esplosione di egoismo e di razzismo in atto in Europa (ma per alcuni versi
anche in Italia), favorita ed incoraggiata da un fenomeno drammatico e
inarrestabile come quello delle migrazioni di massa, non può essere etichettata,
subito e solo, come “fascista”, ma ha in sè tutte le premesse dell’autoritarismo
e dunque anche del “fascismo”, quello di sempre e non solo quello delle
“camicie nere”.
Tant’è che diversi Paesi, in cui quei sentimenti sembrano prevalere, è quasi
immediato lo spostamento a destra delle Istituzioni governative e parlamentari;
una destra che ha pochissimi connotati della destra conservatrice tradizionale e
moltissimi, invece, coincidenti con autoritarismo, populismo, negazione della
libertà e dell’uguaglianza.
Anche di questo bisogna tenere conto, nell’azione antifascista. Non a caso, la
stessa Corte di Cassazione, applica rigorosamente la legge “Mancino” a
manifestazioni, iniziative e simbologie fasciste, individuando una chiara
compenetrazione di due fenomeni solo apparentemente distinti. Bisogna aver
chiaro anche questo aspetto e tener conto di questa connotazione del
“fascismo” che in questi tempi ha assunto e va assumendo dimensioni
addirittura preoccupanti, per la loro estrema pericolosità.
Anche su questo piano, un’azione non solo di denuncia e protesta contro i fatti
più eclatanti, ma di carattere culturale-politico è essenziale, se non vogliamo
che le varie tipologie si sommino tra di loro e rendano ancora più difficile
conservare al nostro Paese quel connotato essenziale di democraticità che la
Costituzione gli assegna in modo inequivocabile.

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